05-01-09, 21:08   #4
Maria

Pilota Colonello
 
 
:
Dec 2008
: Viedma- Río Negro- Patagonia Argentina
: Donna
: 3,465







Caro Re, ecco un brano del libro "MIO MARITO" ( 1968 ) Dacia Maraini

L'altra famiglia
Pietro e Paolo mi svegliano la mattina saltandomi sul petto. Apro gli occhi con un senso di soffocamento. Pietro mi sta seduto sulla pancia, a gambe larghe e va su e giù come se cavalcasse un asino; Paolo mi sta inginocchiato sulle gambe e ride.
«Mamma, e l'ora di alzarsi.»
«Che ore sono?»
«Le sei.»
«Posso dormire ancora un po'?»
«No, devi aiutarci a vestire e poi devi preparare la colazione. Alzati.»
«Ma che ore sono?»
«Le sette.»
«Che bugiardo. Mi dici un'ora per un'altra eh, per farmi alzare, che bugiardo! Lasciatemi dormire ancora un po'.»
«La mamma vuole dormire Pietro, levati di lì.»
Mi rivolto dall'altra parte e cerco di riaddormentarmi. Ma il silenzio dei miei due figli mi insospettisce. Infatti, giro la testa e li trovo intenti ad accendere un fuoco al centro della stanza, con delle carte e dei fiammiferi.
Mi alzo di corsa, li prendo a schiaffi, ritorno a letto. Ma ormai non riesco più a dormire. Rimango ancora qualche minuto distesa, le braccia incrociate dietro la testa, gli occhi socchiusi, cercando di abituarmi alla luce che entra dalla finestra spalancata, quindi mi alzo e comincio la giornata.
Vado in cucina a preparare la colazione per i bambini e per Giorgio. Alle otto siamo tutti seduti attorno alla tavola. Pietro cerca di convincere il fratello maggiore a giocare con lui: si riempie la bocca di latte e glielo spruzza addosso.
«Di' a tuo figlio di smetterla.»
«Smettila Pietro.»
«Anche Paolo lo fa.»
«Smettetela tutti e due.»
«Di' a tuo figlio di smetterla.»
«Gliel'ho detto.»
«Dagli uno schiaffo.»
Pietro scappa prima che faccia in tempo ad acciuffarlo. E quando mi avvicino, correndogli dietro, mi spruzza una boccata di latte caldo sulla faccia.
«Picchialo!»
«Perché non lo picchi tu?»
«Io sono contrario alla violenza, lo sai. Ma tuo figlio è un imbecille.»
«È anche tuo figlio.»
«È anche mio figlio, ma assomiglia a te. Paolo è più simile a me. Infatti, se non fosse per Pietro, sarebbe diverso, buonissimo.»
«Adesso uscite, che è tardi. Dove sono le vostre cartelle?»
«La mia cartella si è rotta.»
«Come, si è rotta! Dove l'hai messa?»
«L'ho buttata. Era tutta rotta.»
«Ma come hai fatto a rompere una cartella di legno?»
«Pietro ci ha giocato a palla.»
«Di' a tuo figlio che è un delinquente oltre che un imbecille», grida mio marito.
«È stato Paolo, te lo giuro.»
«No, sei stato tu.»
«E digli che è anche un bugiardo oltre che un delinquente. Ma dagli uno schiaffo no."
«Gliel'ho giÃ**** dato.»
«Dagliene un altro.»
«Non posso passare la giornata a dare schiaffi a Pietro.»
«Io sono contro la violenza, ma con quel cretino, ci vuole.»
Io rincorro Pietro per la casa, Paolo e il padre stanno a guardare, le grosse ciotole di latte fra le mani, i capelli ravviati, gli occhi seri e imbambolati.
Infine riesco a mettere i due ragazzi nell'ascensore. Chiudo la porta e me ne torno in casa. Giorgio sta preparandosi per uscire anche lui.
«Quando vai a Milano?» mi chiede.
«Domani.»
«Questo tuo lavorare un po' qui e un po' a Milano mi fa venire i nervi.»
«Perché?»
«Perché non riesco ad abituarmi. Qualche volta penso: ecco oggi siamo soli, perché Elda è partita. Invece torno a casa e ti trovo che giochi coi bambini. Altre volte penso: ecco adesso torno a casa e racconto a Elda la barzelletta che mi ha soffiato nell'orecchio Strapparelli, a scuola. Ma quando apro la porta, sento puzza di bruciato e improvvisamente ricordo che tu sei partita e capisco nello stesso tempo che Pietro sta bruciando qualcosa, come al solito.»
«Il mio lavoro è questo. Cosa ci posso fare se mi costringe a fare la spola fra Milano e Roma?»
«Potresti trovarne un altro.»
«Non credo. Con questo lavoro guadagno bene. I tuoi soldi non bastano, lo sai.»
«Ma per lo meno dovresti fissare dei giorni precisi, in modo che io non mi sbagli continuamente.»
«Non posso. Dipende dal lavoro, non da me.»
«Qualche volta penso che tu abbia qualcuno a Milano che ti aspetta.»
«Chi vuoi che abbia?»
«Un altr'uomo.»
«Che sciocchezza!»
Giorgio sorride soddisfatto. Si china a baciarmi sulla guancia, si mette a posto la cravatta con due dita ed esce.
Io do qualche ordine alla donna di servizio per la colazione, poi mi chiudo nello studio a lavorare. Preparo le mie relazioni, studio i casi nuovi, scrivo. La mia testa è completamente vuota. Lavoro meccanicamente, quasi senza accorgermene.
All'una la porta viene spalancata violentemente. Pietro entra correndo e mi abbraccia e mi bacia incollandomi le labbra appiccicose di gelato sulla faccia.
«Com'è andata a scuola?»
«Bene. Non ci sono andato.»
«Come non ci sei andato. E Paolo?»
«Paolo è venuto con me. Siamo andati a giocare a pallone.»
«Cosa dovrei farti, dimmi?»
«Sono un imbecille, lo so. Ma papÃ**** dov'è? Non glielo dire, per favore.»
«Non glielo dico, ma ti do uno schiaffo lo stesso.»
«Quando parti per Milano mamma?»
«Domani.»
«Mi porti con te?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché ho da fare, lo sai.»
«Ma io starei buono ad aspettarti in albergo. »
«Ho detto no e basta.»
A tavola, Pietro e Paolo mangiano avidamente, in silenzio, poi scappano a giocare sulla terrazza. Giorgio legge il giornale. Subito dopo ci stendiamo tutti e due sul letto per riposare.
Alle quattro Giorgio esce di nuovo. Pietro e Paolo vanno ai giardini con i loro amici. Verso le sette e mezza tornano per fare i compiti, ma e troppo tardi e poi sono stanchi. Dopo dieci minuti che sono seduti al tavolino, si addormentano sui libri. Passo la serata a fare i compiti per loro.
«Pietro sta corrompendo Paolo. Diventeranno due buoni a niente, due delinquenti. SarÃ**** colpa tua. »
«Perché mia?»
«Perché non li educhi a dovere.»
«E tu?»
«Io ne ho giÃ**** abbastanza di educare quaranta ragazzi a scuola. Quando torno a casa sono stanco. Sai che ti dico, abbiamo fatto male a fare dei figli; non siamo due persone adatte a una famiglia numerosa.
«Forse hai ragione. Avremmo dovuto stare noi due soli, e basta. Ma allora forse ci saremmo giÃ**** separati.»
«Perché?»
«Perché la vita in due è molto noiosa. Ad un certo punto, non si sa più cosa dire.»
«Dici sempre delle cose sgradevoli. Perché non andiamo al cinema stasera?»
«Non ce la faccio. Sto morendo di sonno. Vacci tu.»
«No, senza di te, no.»
«Allora andiamo a letto."
La mattina dopo, sono svegliata alla solita ora da Pietro che mi sale a cavalcioni sul petto e mi salta su e giù come se fossi un somaro.
«Che ore sono?»
«Le cinque e mezza.»
«Tirami giù la valigia dall'armadio, Pietrino.»
«Lo fa Paolo. Io sono occupato adesso.»
«Scendi, mi fai male.»
«No. Un cavallo non può dire al cavaliere, scendi. Chiudi gli occhi e galoppa. Voglio andare a Milano. »
«Scendi, se no ti faccio cadere.»
Preparo la valigia, la cartella con la causa da discutere, la borsa, il cappotto ed esco. Pietro mi accompagna giù al taxi, Paolo rimane col padre e tutti e due si affacciano alla finestra per salutarmi.
In aereo dormo. È l'unico momento in cui mi sento del tutto a mio agio. Il rumore mi stordisce e il leggero movimento dell'apparecchio mi culla. Mi sveglio poco prima di atterrare. Apro gli occhi proprio mentre l'aereo sta passando dall'azzurro pulito e luminoso dei quattromila metri nella fascia di nebbie opache sparse di nuvole biancastre e lucide che copre la Lombardia.
All'aeroporto ormai mi conoscono: appena arrivo, entro nel bar, poso a terra la valigia, prendo un caffè, poi compro un gettone e telefono a casa.
«Sei tu Carlo?»
«Quando sei arrivata?»
«Adesso.»
«Fatto buon viaggio?»
«Buono si, ho dormito.»
«Vengo a prenderti.»
«Non c'è bisogno, ho qui un taxi pronto.»
Quando apro la porta di casa, trovo Gaspare e Melchiorre in piedi che mi aspettano. Sono ben vestiti, ben pettinati, ossequiosi e servizievoli.»
«Come state?»
«Gaspare ha avuto dei bei voti a scuola.»
«Anche Melchiorre ha avuto dei bei voti.»
«Il papÃ****?»
«Sta bene. È uscito adesso per andare alla messa.»
«Che famiglia pia e ordinata che ho.»
«Vuoi mangiare qualcosa mamma?»
«No. Devo scappare in ufficio. Ci vediamo all'ora di colazione.»
Il lavoro che trovo accumulato nello studio di Milano è sempre più di quanto mi aspetto e finisco per tornare a casa tardi. Quando entro,trovo la tavola apparecchiata e i miei due figli e mio marito seduti ad aspettarmi.
«Non dovevate aspettarmi. Dovevate cominciare.»
«Volevamo mangiare con te.»
«Hai avuto molto da fare?»
«Molto si. Mi sento stanchissima.»
«L'aereo stanca.»
«Sì, l'aereo stanca.»
«Anche cambiare aria stanca.»
«Sì, anche cambiare aria stanca.»
«Anche alzarsi presto la mattina stanca.»
«Sì, anche alzarsi presto la mattina stanca.»
«Com'è andata a Roma?»
«Bene.»
«È una cittÃ***** molto noiosa Roma.»
«Sì, è una cittÃ**** molto noiosa.»
«Ci sono tanti semafori inutili.»
«È vero, ci sono tanti semafori inutili.»
«E poi la gente non ha voglia di fare niente.»
«La gente non ha voglia di fare niente.»
«Siamo noi milanesi che manteniamo la penisola.»
«Quale penisola?»
«L'Italia no?»
«Ah, l'Italia.»
«Gaspare, Melchiorre, andate a fare i compiti.»
«SÃ****, papÃ****. A più tardi mamma.»
«Stanno diventando due ipocriti.»
«Chi?»
«I tuoi due figli.»
«Sono anche tuoi.»
«Sono anche miei, ma assomigliano a te. Silenziosi e ipocriti. Fingono di essere bravi. Ma ne combinano di tutti i colori. Hanno giÃ**** imparato a recitare la loro parte alla perfezione. Se ne fregano di me.»
«Cosa hanno di tanto terribile?»
«Sono finti, ti dico, finti e bugiardi.»
«Allora, hai finito il tuo libro?»
«No, tesoro. Ma sono a buon punto. Mi mancano solo otto capitoli.»
«Che storia è? Non me l'hai mai raccontata.»
«È a storia di un uomo che ha due vite.»
«Interessante. Ma perché non ti sbrighi a finirlo? È da molti anni che trascini avanti questo libro.
«Perché ci devo pensare sopra. D'altronde, più ci penso e più le cose si complicano. Tu credi che un uomo possa avere contemporaneamente, non dico due donne, ma due famiglie?»
«Credo di si.»
«Credi che sia morale?»
«No.»
«Beh, questo è il problema che mi interessa; come conciliare la morale con ciò che è più vitale e più profondo in noi, il sesso, il bisogno dell'indipendenza, il gusto dell'anormale.»
«Lo finirai entro l'anno?»
«Si, certo. Anche se lavoro poco, lavoro.»
«E chi te lo pubblicherÃ****?»
«Non so. Un editore lo troverò, immagino. Ma è difficile, difficile.»
Nel pomeriggio porto al cinema i miei due figli, mentre mio marito resta a casa a lavorare. Quando torniamo. lo troviamo seduto nell'ingresso che gioca col gatto. Gli chiediamo se ha lavorato. Lui risponde di sì. Gaspare e Melchiorre sorridono increduli.
Alle otto e mezza andiamo a tavola. Io mi sento così stanca che non ho più fame. I ragazzi mi raccontano delle storie noiose. Poi ci sediamo tutti davanti alla televisione e fino alle undici non ci muoviamo. Io non riesco a seguire i programmi perché dormo a occhi aperti, le palpebre mi bruciano, ho le pupille fisse e cieche. Gaspare e Melchiorre mi svegliano ogni tanto con le loro risate stridule.
«Quando parti per Roma, mamma?"
«Giovedì.»
«Allora questa volta resti quattro giorni con noi.»
«Si quattro giorni.»
«Quando mi porti a Roma mamma?»
«Mai.»
«Io ci vorrei andare a Roma, per vedere se e proprio così brutta e sporca come dice il papÃ****.»
Alle undici, i due ragazzi vanno a letto e nella stanza buia, rischiarata dallo schermo azzurrino della televisione, restiamo soli, Carlo ed io.
«Senti, dimmi se ti piace questo inizio.»
«Di che parli?»
«Del mio romanzo, tesoro.»
«Ah, sì. Come comincia?»
«Questo è l'inizio del decimo capitolo: In una ventosa e tiepida serata estiva in cui le foglie del leccio tremavano leggermente riempiendo l'aria di un fremito verde... ti piace?»
«Non è un po' troppo lunga questa frase?»
«Niente affatto. Stai a sentire: In una ventosa e tiepida serata estiva in cui le foglie del leccio che intravedevo dalla mia finestra, che sta in fondo alla mia stanza, tremavano leggermente
riempiendo l'aria di un fremito ardente... Credi che sia meglio ardente o verde?»
«Non lo so.»
«In una ventosa e tiepida serata estiva in cui... senti come suona bene; è un'onda che avanza lenta e potente, e tu la senti arrivare e aspetti che si rompa, aspetti e trattieni il fiato, non è cosÃ****? »
«Come continua poi?»
«In una ventosa e tiepida serata... forse al posto di tiepida metterò calda, che ne dici? DÃ**** più il senso dell'afa. Perché l'afa ci vuole. Intanto l'onda avanza. La senti arrivare. Eccola... in cui le foglie del leccio tremavano leggermente riempiendo l'aria intorno a me... ecco voglio aggiungere intorno a me, è meglio cosi, non ti pare? Dunque intorno a me, di un fremito, come ho detto poi?»
«Andiamo a letto?»
«Tu vai pure, io continuo a lavorare.»
«Cosa devi fare?»
«Devo trovare la frase giusta. t molto importante trovare la frase giusta.»
«Penso che non pubblicherai mai questo libro.»
«Perché?»
«Perché non hai voglia di farlo. Come ti è venuta in mente l'idea delle due vite?»
«Quando ero ragazzo ho amato una volta due donne contemporaneamente. Ma stavo cosi male. Mi sentivo in colpa.»
«E com'è finita?»
«Male. Non ci si può dividere a lungo. Si diventa malati.»
Il giorno dopo riprendo la solita vita milanese. Gaspare e Melchiorre vanno a scuola, io vado in ufficio, Carlo si chiude nello studio a scrivere il suo romanzo. All'una pranziamo insieme. Nel pomeriggio io torno a lavorare, Carlo gioca col gatto e i due ragazzi fanno i compiti. Qualche volta, verso le sette, andiamo al cinema, oppure passiamo la serata davanti alla televisione.
Alcuni giorni dopo io preparo le valige, riempio la cartella di cause da studiare, di lettere, di conti, e me ne torno a Roma. Carlo mi accompagna all'aeroporto.
«Ciao. Cerca di finire il tuo romanzo.»
«Ci lavoro molto, lo sai. Entro l'anno, conto di finirlo. Dopo sarò io a mantenere te. Ti farò fare la signora.»
Appena arrivata a Roma, compro un gettone, mi dirigo verso il telefono più vicino e chiamo casa.
«Sei tu mamma?»
«Sono arrivata adesso.»
«Sai che Pietro ha dato fuoco allo studio di papa.»
«E lui che gli ha fatto?»
«Niente. Aspetta che tu torni per punirlo. Ha detto che vuole che tu lo frusti con la cintura del tuo vestito.»



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María

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